Questa leggenda fa parte di un ciclo a cui appartiene anche la Note Dei Morti, di A. Lanza, già inserita nelle Tradizioni del Mare dell’Attività delle Tavole.
La Valle dei Sette Morti è segnata in una carta del sec. XVI di autore ignoto conservata nell’Archivio di Stato di Venezia e, ancora adesso, le carte nautiche della laguna riportano, qualche chilometro a Ovest del litorale di Pellestrina, i ruderi sommersi del Cason dei Sete Morti. Domenico Perini, chioggiotto, racconta così questa storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a cura di Giancarlo Vianello

La vale dei sete morti
(storia ciosota)

 

Mio nonno mi raccontava questa storia e tale e quale adesso ve la racconto.
Fuori Chioggia in mezzo alla laguna, c’era una valle aperta abbandonata; ma, quando si sono svolti questi fatti era ben tenuta, con il suo casone, e produceva anche pesce in abbondanza…
La mattina del giorno dei morti, dunque, sei pescatori della valle, prima di uscire per la pesca, discutevano attorno al focolare se, quel giorno, andare o no a pesca; ma Toni, il capobarca sbotta: ” Chi ci da da mangiare il giorno dei morti? Chi ci ha dato da mangiare il giorno dei Santi: le nostre braccia” urla; “le nostre braccia! Andare in Chiesa?! Quando si è morti è tutto finito…, che non dicano i preti”! Fumandosi la pipa, lo ascoltavano Momolo Mucia, Nane Vardaore, Gigi Stralocio, Beppo Licatuto dando ragione a quel prepotente; Nato Stravacao, aprendo gli occhi: “Vengo anch’io”, dice.
La brace coperta dalla cenere scaldava il pentolino del caffè del ragazzo (era figlio di Toni); un cane bastardo, sotto la tavola, con la coda batteva il tempo a questi discorsi dei padroni. Piovigginava. Faceva freddo, Era buio. “Gioca col cane” dice il padre al figlio; “c’è brutto tempo, non ti porto via…torniamo a mezzogiorno, pieni di pesce”! Il ragazzo risponde: “È il giorno dei Morti, state qua”. Invece salgono in barca e se ne vanno, beffandosi del Cielo e del Signore: “In cielo non si mangia e non si beve… All’inferno si mangiano anguille crude, qui noi invece le mangiamo arrosto”!
Dopo tre ore di lavoro: “Qui non si pesca niente, paron Toni… sembra una giornata stramaledetta! Guardate là, guardate là: c’è un fagotto!... peschiamo stracci invece di anguille!...” Si avvicinano e vedono un uomo morto: un morto, senza naso, senza orecchie, arrivato dal mare con l’alta marea. Mettete in barca questo bell’incontro, a prua…” e bestemmiando tornano con l’annegato.
La polenta fumava sulla tavola, ma il pesce era poco, troppo poco, e Bepo bestemmiava come un turco. “Nino”, dice arrabbiato al ragazzo: “Corri alla barca, sveglia quel forestiero che dorme a prua, digli di venire: dove mangiano sei mangiano anche sette”! “Vai” ripetono gli altri: “vai di corsa”! E poco dopo il ragazzo ritorna gridando: “Ha detto: Vengo… adesso viene…” “e allora dagli la sedia migliore”, gli risponde ridendo uno dei sei: “vicino al fuoco, e dagli anche il tovagliolo”, ma in quel momento si presenta il morto. Era tutto gonfio e scuro in viso, i piedi nudi e consumati dai granchi, dalla bocca usciva marciume. “Un bell’invito, bravi!... Vi conosco: Toni Galeto, Nane Vardaore, Momolo Mucia, Nato Stravacao, Gigi Stralocio e Beppo Licatuto”. I sei stavano tutti nascosti in un angolo, morendo di paura, il ragazzo piangeva: mamma, mamma mia! “State ben attenti a quello che vi dico. Cosa avete guadagnato qui in valle il giorno dei Morti e il giorno di tutti i Santi? Niente, eccetto quattro piccole anguille”! Gli tremava la mano e la mascella. “Dovete pensare un po’ alle Anime, andare in cimitero, almeno oggi…” Il cielo era diventato plumbeo, l’ululato del mare si sentiva vicino. “Che bel divertimento è stato il vostro, di chiamarmi per pranzare”! E dopo, alzando i prugni al cielo, grida: “Dell’Ira io mi purifico in Purgatorio, voi siete gli altri vizi capitali. Sia salvo il ragazzo che è innocente; sia salvo il cane che è la fedeltà”! E tutti sei cadono a terra, fulminati; e dopo di loro si corica il morto.

Da Wikipedia